La fenice, spesso nota anche con l'epiteto di Araba
fenice, era un uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie
ceneri dopo la morte. Gli antichi egizi furono i primi a parlare del Bennu, che
poi nelle leggende greche divenne la fenice. Uccello sacro favoloso, aveva
l'aspetto di un'aquila reale e il piumaggio dal colore splendido, il collo
color d'oro, rosse le piume del corpo e azzurra la coda con penne rosee, ali in
parte d'oro e in parte di porpora, un lungo becco affusolato, lunghe zampe, due
lunghe piume — una rosa ed una azzurra — che le scivolano morbidamente giù dal
capo (o erette sulla sommità del capo) e tre lunghe piume che pendono dalla
coda piumata — una rosea, una azzurra e una color rosso-fuoco —. In Egitto era
solitamente raffigurata con la corona Atef o con l'emblema del disco solare. E
come l'airone, che s'ergeva solitario sulla sommità delle piccole isole di
roccia che sbucavano dall'acqua dopo la periodica inondazione del Nilo che ogni
anno fecondava la terra col suo limo, il ritorno della Fenice annunciava un
nuovo periodo di ricchezza e fertilità. Non a caso era considerata la
manifestazione dell'Osiride risorto, e veniva spesso raffigurata appollaiata
sul Salice, albero sacro ad Osiride. Per questa stessa ragione venne
riconosciuta quale personificazione della forza vitale, e — come narra il mito
della creazione — fu la prima forma di vita ad apparire sulla collina
primordiale che all'origine dei tempi sorse dal Caos acquatico.
Si dice infatti che il Bennu abbia creato sé stesso dal fuoco che
ardeva sulla sommità del sacro salice di Heliopolis. Proprio come il sole, che
è sempre lo stesso e risorge solo dopo che il sole "precedente" è
tramontato, di Fenice ne esisteva sempre un unico esemplare per volta. Da qui
l'appellativo "semper eadem": sempre la medesima.
Era sempre un maschio, e viveva in prossimità di una sorgente
d'acqua fresca all'interno di una piccola oasi nel deserto d'Arabia, un luogo
appartato, nascosto ed introvabile. Ogni mattina all'alba faceva il bagno
nell'acqua e cantava una canzone così meravigliosa che il dio del sole
arrestava la sua barca (o il suo carro, nella mitologia greca) per ascoltarla.
Dopo aver vissuto per 500 anni (secondo altri 540, 900, 1000, 1461/
1468, o addirittura 12955/ 12994), la Fenice sentiva sopraggiungere la sua
morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una
quercia o di una palma.
Qui accatastava ramoscelli di mirto, incenso, sandalo, legno di
cedro, cannella, spigonardo, mirra e le più pregiate piante balsamiche, con le
quali intrecciava un nido a forma di uovo — grande quanto era in grado di
trasportarlo (cosa che stabiliva per prove ed errori). Infine vi si adagiava,
lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si lasciava consumare dalle
sue stesse fiamme mentre cantava una canzone di rara bellezza.
Per via della cannella e della mirra che bruciano, la morte di una
fenice è spesso accompagnata da un gradevole profumo. Dal cumulo di cenere
emergeva poi una piccola larva (o un uovo), che i raggi solari facevano
crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell'arco di tre
giorni (Plinio semplifica dicendo "entro la fine del giorno"),
dopodiché la nuova Fenice, giovane e potente, volava ad Heliopolis e si posava
sopra l'albero sacro.
Nessun commento