La storia della
nascita di Ogni mattina a Jenin (Feltrinelli, 2011), della scrittrice
americana di origine palestinese Susan Abulhawa, è davvero una storia che
si è svolta al contrario. Il libro, pubblicato originariamente nel 2006 negli
Stati Uniti con il titolo Scar of David (uscito in Italia con il
titolo Nel segno di David, Sperling&Kupfer, 2006), non ebbe molto
successo di pubblico e, come se non bastasse, la piccola casa editrice che lo
aveva pubblicato, fallì. A salvare il romanzo ci pensò un’agente letterario
francese che decise di pubblicarlo in Francia con il titolo Les matins de
Jénin.
Il romanzo ebbe un
tale successo che la casa editrice Bloomsbury nel 2010 lo ripubblicò in inglese
con il titoloMornings in Jenin. In Italia Feltrinelli lo ha riproposto con il
titolo “Ogni mattina a Jenin”. Il libro oggi è diventato un bestseller, ed in Svezia la
versione tascabile del romanzo è da poco salita in vetta alle classifiche di
vendita.
Il 27
marzo del 2012, dopo 6 anni di viaggio tortuoso, si compie il ciclo e Susan
Abulhawa e la storia drammatica della famiglia degli Abulheja tornano in
Palestina. Il libro è infatti finalmente uscito in
arabo, tradotto da Samia Shanan, con il titolo Baynama Yanam al-Alam (trad.
it.: Mentre il mondo dorme), edito da Bloomsbury Qatar Publishing
Foundation, cosa di cui l’autrice si è detta molto emozionata, sebbene
preoccupata che la versione araba non sia interamente fedele all’originale
inglese, sulla cui stesura lei stessa ha lavorato duramente (tuttavia, chi ha
letto il libro si sarà reso conto che lo stile con cui il libro è stato scritto
è un mix perfetto di inglese e arabo, un particolare questo, molto evidente
anche nella traduzione italiana e che forse è quello che ha reso il libro così
amato e popolare).
La versione araba si
presenta ancora una volta con un titolo diverso, ripreso dalla traduzione in
tedesco del romanzo (Während die Welt schlief) perchè, stando
all’editore: “La parola Jenin, che in arabo significa neonato, avrebbe stonato
nel titolo”. Al riguardo, mi permetto di esprimere diverse perplessità,
soprattutto se si considera che l’autrice sentì il bisogno di scrivere il
romanzo proprio dopo essere stata testimone delmassacro nel campo profughi di
Jenin del 2002 .
Il libro, che
l’autrice aveva originariamente pensato per un pubblico anglofono (per dare
voce, nella letteratura inglese, alla versione palestinese del conflitto
israelo-palestinese), è stato presentato negli ultimi mesi in alcuni paesi
arabi, fra cui in Giordania (dove però sembra che la versione araba sia stata
ufficialmente censurata e sia introvabile), Qatar e Abu Dhabi. L’autrice è
anche stata di recente fra gli ospiti internazionali invitati al PalFest
di Gaza, che si è (infelicemente) concluso lo scorso 9 maggio.
Le ultime notizie riportano
invece che i diritti per ricavarne un film sono già stati venduti einshallah,
vedremo la storia di Amal e della sua famiglia sugli schermi fra qualche anno.
Susan invece è già
all’opera per un secondo romanzo, che tratterà di un giovane abitante di Gaza,
ma che non dovrebbe uscire tanto presto (in un’intervista l’autrice ha
confessato di non essere molto veloce nello scrivere). Un altro ritorno a
casa per una scrittrice, donna, palestinese, la cui famiglia dovette
lasciare la propria casa in Palestina nel 1967, all’indomani della Guerra dei 6
Giorni.
Fonte: editoriaraba.wordpress.com
La mia è una richiesta di informazione:
RispondiEliminaE' vero che in Uzbekistan esistono sacche arabofone? se si dove?
Grazie, un salutone